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Il nostro “ritratto” nelle Eccellenze del Gusto di Cinzia Trenchi

Il volume si intitola Ritratti del Territorio – Eccellenze del Gusto

Cinzia Trenchi, naturopata, giornalista e fotografa freelance, specializzata in alimentazione e itinerari gastronomici, è una cuoca appassionata e i suoi testi presentano ricette originali e creative che associano sapori e accostamenti insoliti per fornire spunti per nuove preparazioni all’insegna del gusto, tenendo sempre presente le caratteristiche nutrizionali. In questo volume realizza una carrellata golosa che prende le mosse dal Monferrato, tocca qualche angolo di Langa e ospita accenni appetitosi e curiosi dal resto del Piemonte in un vero e proprio viaggio a tavola.

Cincia Trenchi dedica due pagine alla nostra associazione, valorizzando il significato del nostro impegno nella promozione del riso come alimento e come cultura.

FotoLibroEccellenze

Potete richiedere il volume all’associazione Donne & Riso al costo di 10,00€

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Gli arancini di Montalbano

Ecco la ricetta originale degli arancini (o arancine, come si chiamano in Sicilia) di riso, quelli del Commissario Montalbano, leggendario personaggio nato dalla fantasia di Andrea Camilleri.

Di varianti della ricetta ne esistono molte, ma quella di Adelina…

Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa, (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!

Sembra di sentirne il profumo!

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La leggenda di Retna Dumilla

Da un’antica leggenda indiana…

 

Shiva, il dio “benigno” della trinità indiana, un giorno creò una bellissima ragazza, dal sorriso cosi luminoso che il suo nome fu Retna Dumilla, cioè “gemma splendente”. Quindi, il creatore s’innamorò perdutamente della sua creatura e la volle come sposa, ma ricevette da parte di lei, inaspettatamente, un netto rifiuto.

Per risolvere la questione, Shiva chiese l’aiuto degli altri déi, che imposero alla ragazza di sottostare ai voleri del dio. Ma Retna Dumilla subordinò il suo consenso a tre condizioni, una delle quali era la più strana: che il suo sposo le procurasse un cibo da usare tutti i giorni, senza che mai le venisse a noia. II dio credette di poter risolvere facilmente il problema, ma, nonostante la sua fantasia creatrice nessun cibo riusciva ad essere gradito alla ragazza per più di due o tre giorni.

Man mano che gli esperimenti fallivano, cresceva a dismisura la collera del dio, e non si placava l’ardente desiderio d’amore: finché un giorno non poté più trattenersi e d’impeto fece sua la riottosa ragazza. Ma per lo sdegno e l’umiliazione, Retna Dumilla si lasciò morire.

Il dio la pianse amaramente, e la seppellì; ma, trascorsi quaranta giorni, al tramonto del sole, si videro delle piccole scintille staccarsi dai suoi raggi che sfioravano ormai la terra e il mare; le scintille andarono a posarsi sulla tomba dell’infelice ragazza, e il mattino seguente dal tumulo spuntarono delle pianticelle verdi.

Il dio chiamò la nuova pianta col nome di pari (“riso”): dal sole, dalla terra e dalle lacrime di dolore era nato quel cibo che non sarebbe mai venuto a noia, secondo il desiderio di Retna Dumilla.

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La Cucina del Riso – Accademia Italiana della Cucina

Convegno organizzato dalle delegazioni di Novara, Pavia, Vigevano e della Lomellina, il 28 giugno 2014 a Mortara in Villa Sant’Espedito

La cucina del riso

Durante il Convegno la Presidente Natalia Bobba ha curato l’intervento “Il Riso dalla parte di Lei

Ecco il testo dell’intervento:

 

Il riso dalla parte di lei
Natalia Bobba
Natalia Bobba

Natalia Bobba

Sappiamo che il riso è giunto in Europa presumibilmente attorno all’VIII secolo portato dagli Arabi dapprima in Spagna e da qui, successivamente in Sicilia.

Nell’Italia settentrionale, invece, il riso arriva importato dall’Oriente ed è considerato in un primo momento una preziosa spezia. (veniva infatti venduto a caro prezzo dai mercanti veneziani).

Ma, per arrivare al riso coltivato in Italia (in Lombardia per la precisione), dobbiamo arrivare al 1475 quando Galeazzo Maria Sforza consegna al duca di Ferrara 12 sacchi di riso destinati alla semina nel Ferrarese.

Qualunque sia l’origine della coltivazione del riso in Italia, certo è invece che l’impiego di questo cereale in cucina trova come alleata la donna, che lo usa per la preparazione di pietanze per il desco famigliare.

Per cucinare servono fondamentalmente tecnica, sensibilità, gusto… passione. Si sa che lo stesso piatto, la stessa ricetta realizzata da un uomo si presenta diversamente da quella preparata da una donna.

La cucina femminile è quasi sempre più delicata, meno aggressiva.

Il riso in cucina appare nel basso Medioevo (verso la fine del XV secolo) quando la massaia si trova a preparare perlopiù minestre con cercali, orzo e forse riso, con verdure di stagione o comunque erbe spontanee raccolte nelle campagne attorno ai villaggi spesse volte saccheggiate da orde di eserciti violenti e affamati.

La realizzazione di piatti più “raffinati” a base di riso, si conferma attorno ai secoli XVI e XVII quando la donna, soprattutto nella pianura padana, prepara quello che diventerà uno dei piatti fondamentali della gastronomia italiana: il risotto.

Le ricette sono semplici e gli ingredienti usati, oltre al riso,sono prodotti poco costosi e di facile reperibilità. come i derivati della lavorazione delle carni di maiale (cotiche, lardo…) oppure frattaglia di cacciagione o semplici verdure (fagioli, piselli…).

La donna dove usare la propria fantasia per rendere i piatti gustosi, nutrienti e al tempo stesso poco costosi.

Si sa che durante i periodi di guerra, carestie o crisi economiche, anche in cucina la donna deve aguzzare l’ingegno.

E lei che deve essere una brava economa e, al tempo stesso, saziare in modo sano la famiglia.

Nasce quindi la cucina “di recupero”: risotti saltati da consumarsi anche il giorno dopo, frittelle di riso o ancora verdure ripiene dello stesso.

Arriviamo ai giorni nostri: la donna lavora; ha poco tempo da dedicare alla cucina; è costretta a scegliere quindi piatti di veloce esecuzione.

In suo aiuto arriva il riso “parboiled”, meglio conosciuto come il riso che non scuoce mai.

Ottimo per chi ha i minuti contati però… un buon risotto, preparato seguendo i sacri crismi, è un’altra cosa.

Allora un buon compromesso non guasta: quando ha più tempo, ad esempio la domenica, la donna può dedicarsi con cura alla preparazione di un piatto a base di riso secondo la tradizione.

E allora la “fatica” diventa soddisfazione e piacere.

I profumi di un soffritto, lo sfrigolio della cipolla o dello scalogno, la tostatura del riso, gli effluvi del vino fatto sfumare, si trasformano in musica e profumi per i sensi.

Guai a perdere questi piaceri e questi privilegi, care donne!

La nostra innata sensibilità che ci distingue dall’uomo, anche tra i fornelli!

Ma non tutto il mondo è paese. 

Ad esempio in Giappone nei ristoranti dove si prepara il tipico sushi la cucina è interdetta alle chef donna.

Perché? Pare che la temperatura corporea più alta della donna rispetto a quella dell’uomo possa alterare le caratteristiche del pesce fresco.

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Polenta o riso?

copertina_Tinarelli

La polènta la xcuntènta el ris l’apinis

(la polenta scontenta e il riso ti sazia)

Tratto da il “Canto del riso” di Antonio Tinarelli

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Una ciotola di riso

Chadrick Simuel

O riso! Tu sei venuto dal profondo della terra,
volevo che crescessi mentre io dormivo,
perché la mia famiglia ha bisogno di cibo
e tu cresci bene,
cosa farei se tu dovessi fallire.

Ma io ti voglio qui nel mio piatto,
quando penso al  momento del trapianto,
perché ho bisogno di denaro,
perché scende la pioggia
e il nostro riso è maturo.

Dico fra me: tutto è bianco come neve,
a questo riso basta una piccola rimescolata,
la mia famiglia ha bisogno di protezione,
e noi di riso ne abbiamo molto
e molto ne abbiamo da vendere.

Oh riso del mio campo e della mia ciotola
mi sono proposto di venderti,
la mia famiglia non ha bisogno di nulla,
perché tu sei cresciuto bene,
ben sapevo che non avresti fallito

 

 

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