Donne & Riso all’Expo
Natalia Bobba, presidente dell’associazione Donne & Riso, con il conduttore Patrizio Roversi, alla presentazione del riso nel padiglione di Federalimentare, Cibus è Italia.
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Leggi tuttoEcco alcune immagini della partecipazione dell’Associazione Donne & Riso
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Durante il Convegno la Presidente Natalia Bobba ha curato l’intervento “Il Riso dalla parte di Lei”
Ecco il testo dell’intervento:
Sappiamo che il riso è giunto in Europa presumibilmente attorno all’VIII secolo portato dagli Arabi dapprima in Spagna e da qui, successivamente in Sicilia.
Nell’Italia settentrionale, invece, il riso arriva importato dall’Oriente ed è considerato in un primo momento una preziosa spezia. (veniva infatti venduto a caro prezzo dai mercanti veneziani).
Ma, per arrivare al riso coltivato in Italia (in Lombardia per la precisione), dobbiamo arrivare al 1475 quando Galeazzo Maria Sforza consegna al duca di Ferrara 12 sacchi di riso destinati alla semina nel Ferrarese.
Qualunque sia l’origine della coltivazione del riso in Italia, certo è invece che l’impiego di questo cereale in cucina trova come alleata la donna, che lo usa per la preparazione di pietanze per il desco famigliare.
Per cucinare servono fondamentalmente tecnica, sensibilità, gusto… passione. Si sa che lo stesso piatto, la stessa ricetta realizzata da un uomo si presenta diversamente da quella preparata da una donna.
La cucina femminile è quasi sempre più delicata, meno aggressiva.
Il riso in cucina appare nel basso Medioevo (verso la fine del XV secolo) quando la massaia si trova a preparare perlopiù minestre con cercali, orzo e forse riso, con verdure di stagione o comunque erbe spontanee raccolte nelle campagne attorno ai villaggi spesse volte saccheggiate da orde di eserciti violenti e affamati.
La realizzazione di piatti più “raffinati” a base di riso, si conferma attorno ai secoli XVI e XVII quando la donna, soprattutto nella pianura padana, prepara quello che diventerà uno dei piatti fondamentali della gastronomia italiana: il risotto.
Le ricette sono semplici e gli ingredienti usati, oltre al riso,sono prodotti poco costosi e di facile reperibilità. come i derivati della lavorazione delle carni di maiale (cotiche, lardo…) oppure frattaglia di cacciagione o semplici verdure (fagioli, piselli…).
La donna dove usare la propria fantasia per rendere i piatti gustosi, nutrienti e al tempo stesso poco costosi.
Si sa che durante i periodi di guerra, carestie o crisi economiche, anche in cucina la donna deve aguzzare l’ingegno.
E lei che deve essere una brava economa e, al tempo stesso, saziare in modo sano la famiglia.
Nasce quindi la cucina “di recupero”: risotti saltati da consumarsi anche il giorno dopo, frittelle di riso o ancora verdure ripiene dello stesso.
Arriviamo ai giorni nostri: la donna lavora; ha poco tempo da dedicare alla cucina; è costretta a scegliere quindi piatti di veloce esecuzione.
In suo aiuto arriva il riso “parboiled”, meglio conosciuto come il riso che non scuoce mai.
Ottimo per chi ha i minuti contati però… un buon risotto, preparato seguendo i sacri crismi, è un’altra cosa.
Allora un buon compromesso non guasta: quando ha più tempo, ad esempio la domenica, la donna può dedicarsi con cura alla preparazione di un piatto a base di riso secondo la tradizione.
E allora la “fatica” diventa soddisfazione e piacere.
I profumi di un soffritto, lo sfrigolio della cipolla o dello scalogno, la tostatura del riso, gli effluvi del vino fatto sfumare, si trasformano in musica e profumi per i sensi.
Guai a perdere questi piaceri e questi privilegi, care donne!
La nostra innata sensibilità che ci distingue dall’uomo, anche tra i fornelli!
Ma non tutto il mondo è paese.
Ad esempio in Giappone nei ristoranti dove si prepara il tipico sushi la cucina è interdetta alle chef donna.
Perché? Pare che la temperatura corporea più alta della donna rispetto a quella dell’uomo possa alterare le caratteristiche del pesce fresco.
Leggi tuttoNuova tappa della Maratona verso Expo 2015
16 ottobre 2014 visita alla Tenuta Cerello
LA STORIA
Dalle memorie storiche della Città di Chivasso, raccolte dal patrizio Don Giuseppe Borla verso il 1780, compare questa testimonianza:
“Diverse piccole chiese o cappelle oltre alle già descritte si videro alzare sopra il territorio di Chivasso, parte rovinate e parte ancora sussistenti a comodo dei vicini particolari, cioè quella eretta nella regione detta del Cerello (così detta dalla nobile famiglia Cerello che molti effetti possedeva in essa regione, già propri del pubblico di Chivasso, dal quale passarono a titolo di permuta al Marchese del Monferrato (trasferimento del Cerello 1305) e da questi alla oggidì Real Casa di Savoia, concessi poi da essa in perpetua enfiteusi dai quali n’è al presente investita la Contessa San Martino di Marsaglia) sotto il titolo di San Grato.”
In seguito la proprietà appartenne ai diversi casati nobiliari, ed in ultimo alla moglie del conte Stefano Gallina, ministro delle Finanze di Re Carlo Alberto, presidente onorario della Associazione Agraria Subalpina e socio onorario dell’Accademia dei Georgofili di Firenze, per successione passò al figlio Giovanni Gallina distintosi come diplomatico.
All’interno delle iniziative di Confagricoltura Donna, il 3 settembre 2014 abbiamo visitato l’azienda agricola Cascina Monsignore. Ad accoglierci Maria Teresa Ballauri.
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